La famiglia dei Dametto da San Cipriano

Testimonianza di Severina Dametto raccolta nel luglio 2021 a Chiesanuova di San Donà di Piave

Mi presento: Mi chiamo Maria Severina Dametto e sono nata a San Cipriano di Roncade il 23 ottobre 1949.

Le origini Asolane della mia famiglia

Nel lontano 1860 si unirono in matrimonio nella chiesa di Onè di Fonte Giuseppe Dametto e Anna Scremin i quali formarono una famiglia di profonda fede cristiana composta da tre figli maschi: Angelo, Massimo e Pietro. Questi, una volta adulti, si coniugarono, in particolare mio nonno Massimo si sposò con Anna Dametto il 20 marzo 1899. La nascita di nuovi figli portò un ingrandimento delle famiglie tanto da rendere insufficienti i prodotti della terra e per questo motivo Massimo e lo zio Pietro decisero di cercare fortuna altrove. Nel 1910 lasciarono i colli Asolani e si diressero a valle, nel paese di San Cipriano di Roncade dove acquistarono una casa con una bella campagna. Questa partenza un po’ sofferta non risparmiò qualche lacrima soprattutto nel volto degli adulti. La famiglia dei miei nonni paterni Massimo e Anna era composta da quattro figli: Angela (n. 4 ottobre 1900), Agnese (n. 12 luglio 1902), Francesco (n. 4 ottobre 1907) e Rosa (n. maggio 1910), mentre quella dello zio Pietro accompagnato dalla moglie Anna ne aveva una, Amelia (n.1907). Per le due famiglie l’iscrizione alle anagrafe di Roncade avvenne il 23 marzo 1911. Nel 1912, da Pietro e Anna nacque Assunta mentre da Massimo e Anna piccola (nomignolo dato per la sua bassa statura) il mio papà Agostino.

A loro agio nella loro nuova dimora, volenterosi e amanti della terra piano, piano dimenticarono i colli Asolani. Non tutto purtroppo andò per il verso giusto poichè al fratello Angelo rimasto a Onè di Fonte, dove possedeva un mulino, l’attività cominciò ben presto a dare dei problemi e si rivolse così ai fratelli per fare da garanti. Tutto precipitò in breve tempo tanto che Massimo e Pietro da proprietari dovettero cedere i loro terreni a Matilde Rossi e al marito Eugenio da Venezia e pagare l’affitto. Fu per tutti un grande impegno morale e materiale, ma ad ogni modo nelle famiglie non mancò mai la fiducia nella provvidenza e con la loro grande fede riuscirono ad affrontare tutte le problematiche. Col passare degli anni le famiglie si trovarono nuovamente di fronte alla decisione di ampliare gli spazi, in quanto lo zio Pietro con la moglie Anna diedero alla luce altri figli, che in totale diventarono nove. Entrambi i fratelli demolirono una vecchia abitazione in stato di degrado nella vicina campagna e con il materiale di risulta ne costruirono una di nuova. Stessa sorte dei loro genitori, i figli di Massimo, come quelli di Pietro, diventarono adulti e tutti presero la loro strada. Angela e Agnese scelsero la via religiosa, zia Rosa rimase in famiglia fino all’età di 50 anni e poi si sposò pure lei, Francesco si unì in matrimonio con Amelia Siben (dai quali nacquero Silverio, Annamaria, Teresina, Giuseppina, Rosetta, Arcangelo, Bernardina e

Egidio) mentre il mio papà Agostino si sposò con mamma Adelia. Il loro fidanzamento iniziò purtroppo nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, nel quale mio padre dovette partecipare prestando servizio come autiere. Sperimentò la mancanza di cibo, tanto da sfamarsi raccogliendo le bucce di patate che venivano gettate ai maiali, si ammalò di malaria, curata con l’inalazione di fumo di chinino che lo portò negli anni avvenire a fumare trinciato forte e sperimentò anche la prigionia. Rimase in Albania fino alla fine del conflitto e si sposò poi con mia mamma il 27 aprile 1947. Dal loro matrimonio nacquero Cecilia, Elena, Io (Severina), Massimiliano (che all’età di 22 anni la sua vita s’interruppe a causa di un incidente stradale), i gemelli Tarcisio (che salì al cielo all’età di cinque anni a causa di una broncopolmonite) e Lucia, poi nacque Maria Pia Bertilla e di nuovo Tarcisio, che prese il nome del piccolo fratellino. Un bel gruppetto e tante bocche da sfamare. Confidando sempre nel buon Dio siamo cresciuti tutti sani e con tanta fiducia nella provvidenza.

Le due famiglie Dametto dei fratelli Agostino e Francesco. Dietro da sinistra: Severina, Elena, Cecilia, mamma Adelia, papà Agostino, Giuseppina, Teresina, zia Amelia, zio Francesco, Rosetta, Anna Maria e (l’uomo grande) Silverio. Davanti da sinistra: Maria Pia Berilla, Massimiliano, Lucia, Bertilla, Tarcisio, Bernardina, Egidio e Arcangelo.

L’infanzia

Ricordo con nostalgia le lunghe giornate d’inverno quando noi bambini ci radunavamo nella stalla dello zio Pietro che era più spaziosa della nostra e soprattutto calda. A quel tempo non esisteva il riscaldamento in tutti gli ambienti della casa come oggi. Lo zio Pietro sapeva come tenerci miti e tranquilli, ci radunava tutti in un angolo attorno a se, ognuno seduto sul proprio sgabello, e ci raccontava le storie della Bibbia. Sapeva immedesimarsi bene nei personaggi e tutti noi lo ascoltavamo a bocca aperta. Ricordo le storie di: Adamo ed Eva, Caino e Abele, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide, Elisabetta, Maria la mamma di Gesù, Erode e tanti altri. Tutt’ora quando sento la lettura della Bibbia durante le celebrazioni il mio pensiero ritorna a quel tempo e lo ricordo con nostalgia.

La casa

La nostra abitazione era situata a San Cipriano di Roncade, in Via Boschi e confinava con delle case un tempo fatte di canne di bambù e poi ricostruite con la pietra. Vi abitavano delle persone molto povere che non avevano modo di scaldarsi durante la stagione fredda. D’inverno i bambini venivano anche loro nella stalla dello zio Pietro. Ricordo in particolare un ragazzino che un giorno non andò neppure a casa a mangiare all’ora di pranzo e venne a consumare il suo panino nella stalla. Quando noi siamo entrati nella nostra cucina ho provato un po’ di malinconia e mi ha fatto tanta pena.

Passarono in fretta gli anni e la nostra abitazione non era più sufficiente per tutti, così papà Agostino e zio Francesco decisero di costruire una nuova casa. Era l’anno 1962 e io avevo 13 anni.

La bella sorpresa venne quando bisognava scegliere la famiglia che avrebbe occupato la nuova struttura e per fare questo dovevamo giocare a sorte. Mio fratello Massimiliano e mio cugino Arcangelo dovevano estrarre dal pugno di una mano due spighe, una lunga e una corta. Vinceva chi avrebbe estratto quella più lunga, che toccò a Massimiliano e quindi alla nostra famiglia. La nuova casa era comoda e spaziosa e aveva: sei camere da letto, una bella cucina, un granaio, un portico e una stalla. Nonostante tutte queste comodità pativamo comunque il freddo invernale. Solo la stufa a legna della cucina poteva ritemprarci. Avevamo anche l’impianto dell’acquedotto, ma non lo utilizzavamo mai in quanto troppo costoso e allora continuavamo a utilizzare l’acqua del pozzo.

Cosa si mangiava a quel tempo

Mi ritengo di essere stata una bambina molto fortunata perchè il latte, il pane e la polenta non sono mai mancati nella nostra famiglia.

Certo non si poteva dire: “questo non mi piace”. Non c’era la varietà e quantità di cibo come nelle tavole attuali e quando la fame si faceva sentire in breve tempo il nostro piatto era ben pulito.

Fin da piccoli ci hanno insegnato a dar valore ad ogni cosa senza sprecare. Il pane veniva fatto una volta alla settimana in un grande forno e deposto poi in un cestone appeso fuori della camera da letto. Ricordo il suo profumo appena sfornato che entrava nella stanza. Ci prendevamo di nascosto una pagnotta, la dividevamo in tante parti e, incuranti delle briciole che cadevano tra le lenzuola, in breve tempo non rimaneva traccia di quel pane.

Essendo in tanti bambini non si poteva mangiare nella tavola degli adulti così avevamo un tavolo tutto per noi con una grande panca che di tanto in tanto cadeva ed erano dolori se finiva sopra i piedi di qualcuno.

Ricordo il pranzo della domenica con quella fila di piattini riempiti con un po’ di minestra, un pezzettino di carne e due patatine e l’immancabile tazza di pane e latte per la settimana, sia alla mattina che alla sera. Se mancava il pane si sostituiva con la polenta. Nelle grandi festività si aggiungevano alla dieta i dolci, come le focacce per Pasqua e la pinza per l’Epifania mentre nelle ricorrenze particolari come il battesimo, la comunione o la cresima per i bambini c’era il dolcetto speciale.

Non posso dimenticare quel profumino che mi faceva venire l’acquolina in bocca quando papà Agostino e il cugino Silverio si alzavano di buon mattino d’estate per falciare l’erba e noi bambini verso le 7.30 del mattino gli portavamo la merenda dentro un cestino. C’erano alcune fettine di polenta appena arrostita avvolte in un tovagliolo, qualche pezzetto di formaggio oppure una bella frittata di uova e non mancava mai la tazza di pane ben inzuppato nel latte. A differenza delle famiglie di città, a noi contadini e nella nostra famiglia non mancavano mai: il salame, il formaggio, le uova, la polenta e il latte.

Le vocazioni

Certamente i nostri nonni e zii hanno dato in famiglia una grande testimonianza di fede tanto da aprire la strada vocazionale a molti dei loro figli. Ci furono diverse suore tra le quali: le due figlie di Massimo ossia Angela e Agnese, due sorelle di mamma Adelia e due figlie di Pietro. Per i maschi invece ci furono due cugini sacerdoti. Ricordo in particolarmente mia cugina Giuseppina, a me tanto cara, che era entrata nell’istituto delle suore Canossiane di Treviso. La sua vita molto sofferta l’ha costretta per tanti anni quasi inferma. Io con mio marito Vittorio e nel tempo anche i miei figli andavamo spesso a trovarla e Giuseppina ha sempre saputo nasconderci le sue sofferenze, mettendosi a nostra disposizione e in ascolto, con parole sagge d’incoraggiamento, sapendo colmare i nostri cuori e trasmettendoci la serenità. Per questo si respirava in casa un’aria di testimonianze vere e sincere.

Nonno Massimo Dametto, una delle figlie suore e nonna Anna Dametto.

Le preghiere in famiglia

Quando abitavamo nella casa di fronte a quella dei miei cugini, c’era un lungo stradone che d’estate, prima della merenda del mattino e della cena alla sera, si percorreva a piedi recitando le preghiere. Proseguivamo inoltre il nostro percorso di preparazione alla fede cristiana andando a catechismo, al mattino prima di recarci a scuola, e con la nostra presenza obbligatoria segnata su un registro (l’attività si svolgeva in primavera e d’estate). Qui noi bambini dovevamo imparare a memoria delle domande delle quali a volte non conoscevamo neppure il significato. Tutto serviva per la disputa di fine anno, un grande palco allestito in chiesa dove il nostro sacerdote Don Ermenegildo Zanatta ci interrogava. Si proseguiva poi con il rosario della sera. Per gli adulti la fatica della giornata lavorativa si faceva sentire. Mio papà prendeva una sedia, si inginocchiava per terra e appoggiava i gomiti sul sedile, la mamma invece si metteva in piedi vicino a lui e aggrappata alla sedia. Di tanto in tanto apoggiava una mano sulla spalla di papà perchè si addormentava.

Alla domenica era obbligatorio partecipare alla Santa Messa e se capitava qualche emergenza il papà doveva chiedere il permesso al parroco per non partecipare alla funzione. La domenica era sacra. Per recarci in chiesa si percorreva a piedi una strada, a quel tempo sassosa e lunga tre km, che per noi bambini, specie d’inverno, era molto faticosa. Mi capitavano a volte, durante la celebrazione della messa, momenti di debolezza e allora le mie sorelle maggiori mi portavano in canonica dove bevevo del caffè di orzo caldo per riprendermi.

Il tempo della scuola

Andavo a scuola molto volentieri anche se avevo qualche difficoltà nella materia d’italiano. La mia maestra di scuola ci teneva molto a noi bambine (ricordo che la scuola era divisa tra maschi e femmine). Si chiamava Maria Luisa Mazza, abitava a Treviso e ogni mattina con il pulmino si recava a insegnare a San Cipriano. Eravamo tutti affezionati a lei, era brava e qualche volta ci regalava le caramella. Non ci puniva mai con la bacchettata sulle mani, che a quel tempo era di norma fare.

Gli alunni della scuola elementare di San Cipriano di Roncade con la mestra Maria Luisa Mazza all’aeroporto di Treviso.

Scandire il tempo

Era comune a tutti specialmente in campagna avere un bel gallo nel pollaio che iniziava a cantare al mattino dalle 4:00 alle 5:00. Questa era la sveglia di papà e di zio Francesco. La giornata per loro iniziava con il bestiame. Si dirigevano in stalla a governare gli animali per poi procedere alla mungitura delle mucche. Il latte fresco veniva servito sulla tavola di mamma Amelia e zia Adelia, che lo avrebbero scaldato successivamente a noi bambini. Terminato questo lavoro i maschi adulti proseguivano verso la campagna. A scandire il tempo non mancava mai la meridiana sul muro della casa più esposto al sole.

Il lavoro dei campi

Tutto il lavoro faticoso della campagna veniva svolto a mano, servendosi di poca attrezzatura, ma ben presto tutto ciò venne sopraffatto da una novità tecnologica, il trattore. Questo non risparmiò nemmeno papà Agostino e zio Francesco i quali acquistarono un Landini testa calda usato per i lavori pesanti e uno più piccolo per quelli più leggeri. Diventò più semplice arare i campi, trasportare le cassette dell’uva e le pannocchie, seminare e macinare il grano, falciare l’erba e rastrellarla, dare il solfato alle vigne e così via. Partecipai anch’io a questa novità e imparai ben presto ad aiutare mio padre guidando il trattore, mentre lui adoperava l’attrezzatura trainata dal mezzo. Lavoravamo in compagnia di altre persone della famiglia e noi ragazze, alle quali piaceva cantare, accompagnavamo con melodia le giornate, sopratutto quando eravamo sfinite dalla giornata e mentre ritornavamo a casa con l’attrezzatura sulle spalle (zappa, rastrello, vanga, falce, ecc.). Il lavoro dei campi era suddiviso per stagioni: in primavera si dava inizio alle varie semine del mais e del fieno e durante l’estate invece c’era il grande lavoro della raccolta del frumento. Veniva falciato, legato in piccoli fasci, raggruppato in grandi covoni e dopo circa 10, 15 giorni si portava nel cortile per formare un quadrato ben composto che la trebbia avrebbe poi sgranocchiato. Il grano ricavato veniva costipato sul granaio mentre la faglia passava attraverso una pressa che le dava una forma rettangolare per poi essere depositata sul pagliaio. Questa sarebbe servita per la pulizia delle mucche nella stalla. Durante l’estate c’era anche la falciatura del fieno che veniva svolta una volta al mese, mentre a settembre si procedeva con la vendemmia e la raccolta delle pannocchie. L’autunno era il tempo della semina del frumento e della potatura delle vigne, mentre d’inverno ci si riposava. Anche se il freddo pungeva, nelle belle giornate di sole si raccoglieva la legna che i maschi tagliavano dalle grandi siepi, la quale veniva utilizzata per scaldare un po’ la cucina e far da mangiare. Quando pioveva invece gli uomini sistemavano gli attrezzi da lavoro in legno mentre le donne rammentavano i vestiti o li facevano nuovi con i ferri. Non c’era la televisione come oggi, ma ad ogni modo non ci si annoiava mai.

La vita di tutti i giorni e il tempo libero

Quand’ero piccola la mia famiglia era numerosa come del resto tutte le altre ed era importante, per la convivenza, creare un clima sereno e tranquillo, di rispetto tra i grandi e i piccoli. I nonni, raggiunta ormai l’età avanzata, vigilavano in silenzio e davano dei validi consigli ai più giovani. I genitori invece, con le maniche sempre rimboccate per gestire bene la famiglia, insegnavano ai propri figli l’arte del lavoro, mentre i bambini più grandi intrattenevano quelli più piccoli con l’insegnamento dei giochi. Tra questi ricordo: girotondo, salto della corda, nascondino, costruire degli animaletti con la terra e l’acqua, fare dei cavallini con il gambo delle pannocchie e costruire le casette con le pietre; per le bambine giocare alle signorine mentre si teneva in braccio qualche fratellino più piccolo. Veniva rispettato il tempo della scuola e quello dedicato ai compiti per casa.

Da sinistra: Severina e la cugina Rosetta Dametto

Crescendo abbiamo ben presto imparato a fare piccoli mestieri come preparare la tavola, andare al pozzo a prendere l’acqua, scopare la cucina e riordinare i letti. Con l’avanzare dell’età aumentavano le responsabilità, come portare il latte nella latteria, dove di tanto in tanto si faceva il formaggio, che veniva poi conservato in cantina. Si andava a fare la spesa barattando la merce con le uovo (non con la moneta) in cambio di: un po’ di zucchero, caffè di orzo, qualche saponetta per lavarsi, un po’ di riso e qualche bottiglia d’olio. Oltretutto c’erano i lavori di routine come pulire il pollaio al sabato che non era un lavoro piacevole per l’acre odore e la polvere. Alla fine comunque ci toglievamo lo sporco di dosso con un buon secchio d’acqua calda d’inverno e tiepido d’estate, così con il cambio dei vestiti si attendeva con gioia la domenica. Anche se la famiglia era numerosa non mancava a nessuno il proprio vestito da festa, confezionato con arte da zia Rosa, che era una gran signora, brava a fare tantissime cose, tra le quali la sarta, la parrucchiera, nonché a fare i buchi sulle orecchie a noi bambine, quando raggiungevamo l’età dei sei, sette anni. Con i fori sul lobo aspettavamo con serenità l’avvento della cresima dove la madrina ci avrebbe regalato, per tradizione, gli orecchini.

Conservo con gioia questi ricordi della mia infanzia che sono parte della mia vita e che mi hanno aiutata a crescere con la fiducia e la certezza che la vita è un dono. Per questo va amata e conservata per riconsegnarla un giorno al nostro Padre Creatore.

One thought on “La famiglia dei Dametto da San Cipriano

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  1. sempre belle testimonianze! Riuscirebbe a riportare un po’ di storia del bar “Da Murer” e dei suoi storici proprietari che erano fratello e sorella? Devono essere defunti da anni, il bar é quello storico sito sull’argine vicino Isiata se non sbaglio

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