Testimonianza di Elisa Rossetto del 22 settembre 2018 – Noventa di Piave (VE)
Elisa: Prima della Grande Guerra all’ufficio delle anagrafe mi avevano registrato con il nome di Elisa Rossetto nata il 10 ottobre 1917, ma in seguito alla distruzione del paese di Noventa di Piave durante i bombardamenti della Prima Guerra Mondiale e la ricostruzione del Municipio, la mia data di nascita subì delle modifiche e diventai Elisa Rossetto nata il 10 settembre 1917. Alcuni miei amici di vecchia data mi fanno ancora oggi gli auguri a ottobre e io ho sempre preso in considerazione questo mese, ma per il Comune di appartenenza io compio gli anni a settembre.
Michele: Come si chiamavano i tuoi genitori?
Elisa: Mio padre si chiamava Antonio Rossetto, lavorava come macellaio in piazza a Noventa di Piave e vendeva carne congelata. A quel tempo non esisteva il congelatore e la carne veniva trasportata dentro a delle casse riempite di ghiaccio.
Mio padre e morto a cinquantasei anni di peritonite, un’infezione dello stomaco, dopo aver mangiato del pesce a San Donà di Piave che gli aveva fatto male.
Mia madre si chiamava Maria Orlando ed è morta due anni dopo di mio padre, di un tumore allo stomaco, anche lei a cinquantasei anni. Mio nonno paterno era un Garibaldino. A Mussetta abita una mia sorella di nome Anna Rossetto che ha novantasette anni. Lei aveva un marito di nome Graziano Perissinotto che e’ morto recentemente, circa quattro mesi fa. Anna si lamenta spesso di non avere molta memoria e quando necessita chiede le cose a me. Mia mamma ha avuto nove figli, due dei quali sono morti a Chiarano, durante la Grande Guerra, di tifo. Dopo c’era mio fratello Piero Rossetto che faceva il barbiere in centro a Noventa di Piave, che però è sopravvissuto alla malattia del tifo “nero”; come lo chiamavano a quel tempo. Dopo la disfatta di Caporetto dell’esercito italiano e lo spostamento della prima linea lungo il fiume Piave, l’esercito austro-ungarici aveva invaso anche il paese di Noventa di Piave e si era stanziato lungo la sponda sinistra del fiume. Tutti gli abitanti del paese, tra questi i miei genitori, tre dei miei fratelli ed io, siamo stati sfollati a Chiarano e successivamente in un altro paese.
Michele: Quando i tuoi genitori sono ritornati a Noventa di Piave il paese era stato raso al suolo dai bombardamenti della guerra. Dove sono andati a vivere?
Elisa: All’inizio, come abitazione, il Genio Civile aveva procurato alla mia famiglia una baracca di legno dietro l’attuale Municipio e successivamente ci siamo trasferiti a vivere in una casa nuova in centro a Noventa di Piave.
Quando avevo dodici anni e mezzo, nel 1929, ho cominciato a prestare servizio presso mia zia paterna e per lei io ero “na fia dell’anima” (lavoratrice domestica). Diceva che caratterialmente gli assomigliavo molto. Lei abitava nel palazzo, accanto all’attuale farmacia di Noventa, all’epoca sede della “Società della Ghiaia del Piave” (1).
A tredici anni ho conosciuto il mio futuro marito Giovanni Baiocco, nato nel 1916, e ci siamo baciati per la prima volta dopo un anno che “se fea amor” (ci conoscevamo). Dopo parecchio tempo che ci frequentavamo lui è partito per il fronte (Seconda Guerra Mondiale). Fece dieci mesi di addestramento presso la località di Banne (di Opicina, Trieste) e poi venne trasferito in Africa. Durante una battaglia venne catturato dagli inglesi e fatto prigioniero per sei anni fino al 1947. In quel lungo periodo, per le sue capacità meccaniche, venne scelto per “fare dei sondaggi” (cercare il petrolio). Io, che ero a casa, l’ho aspettato fino al suo ritorno.
Nell’anno 1948 ci siamo sposati e dopo tre anni di matrimonio, sara’ stata colpa delle malattie patite in guerra da mio marito o quant’altro, fatto stà che non eravamo capaci di avere dei figli naturali e così abbiamo deciso di adottare un bambino all’orfanotrofio di Venezia (all’Istituto Santa Maria della Pietà). Le suore che lo gestivano volevano darci in adozione un bambino di sei anni e noi gli avevamo chiesto se potevamo averne uno di più piccolo e, mentre stavamo parlando con la ‘dirigente’, Franco che aveva due anni compiuti a febbraio, sì avvicinò a me e cominciò a giocare con i bottoni del mio “paltò” (cappotto). Mi sono innamorata subito di questo bambino perchè mi guardava con degli occhi splendidi. Chiedemmo alla ‘dirigente’ se potevamo adottarlo e lei nel frattempo ce lo consegno’, in attesa di ricevere la conferma da parte della madre naturale, che arrivò tre mesi più tardi. Il nome Franco lo avevamo deciso io e mio marito poichè all’orfanotrofio lo chiamavano Gianfranco Febbrini, in quanto nato nel mese di febbraio. Dell’adozione non ne parlai mai con Franco e nemmeno lui mi chiese nulla, ma quando decise di sposarsi gli raccontai la vicenda. Mi ricordo che era mattina e lui si era appena svegliato, gli portai il caffè a letto e gli raccontai da dove proveniva. Franco mi disse che io e Giovanni eravamo la sua mamma e il suo papà e che per lui, recarsi a Venezia per richiedere la documentazione per il matrimonio, non sarebbe stato alcun problema. Attualmente per adottare un bambino bisogna pagare dei soldi, ma all’epoca della nostra adozione era il contrario. L’orfanotrofio di Venezia voleva darci 3000 lire al mese come sussidio, ma io e mio marito li abbiamo rifiutati. Volevamo che quei soldi fossero utilizzati per aiutare i bambini dell’orfanotrofio. Quando ci siamo recati a Venezia e abbiamo conosciuto Franco lui indossava una camicetta, che ancora oggi abbiamo conservato per ricordo, e non accettò di vestirsi con gli abiti che avevamo portato da casa. Mi ricordo che la sua camicetta era talmente sporca che quando la lavai per la prima volta la feci bollire per tanto tempo con acqua e candeggina. “Maria Vergine quanto erano sporchi i bambini in quell’orfanotrofio!”.
Michele: Dell’occupazione tedesca cosa ti ricordi? La vita com’era in quel periodo?
Elisa: Sul palazzo di mia zia abitavano un Capitano tedesco, con il suo attendente e la moglie. Lavoravano presso il Municipio di Noventa e a noi non hanno mai creato alcun problema. Mi ricordo che l’unica preoccupazione che avevamo era l’allarme aereo dei “Pipo” americani che bombardavano e noi dovevamo correre dentro il fossato della famiglia Momesso, oppure, alla sera, dentro il campanile della chiesa per ripararsi. Quasi tutti gli abitanti di Noventa erano lì. Non ci sono stati danni gravi nel nostro paese a differenza di San Donà di Piave e Treviso. I tedeschi si erano impadroniti della villa Cà Zorzi e un’altra che si trova in fondo; “Girardi”.
Interviene Gabriella Celleghin, la nuora di Elisa, nonché moglie di Franco.
Gabriella: Per vedere Villa Cà Zorzi ci si deve avvicinare alla piazza di Noventa percorrendo la strada principale e dove c’è una pasticceria, sulla destra che fa angolo, si nota un muro che costeggia Via Guaiane. Lì c’è il grande parco e lo stabile. A Cà Zorzi è vissuto il famoso poeta Giacomo Noventa.
Elisa: Durante la guerra vicino alla Villa Cà Zorzi vi si trovavano dei baraccamenti e in essi abitavano Bastian e il poeta Giacomo, mentre nella villa vi stanziavano “i veci” (i suoi genitori) e Antonio.
Michele: Che lavoro hai svolto nella tua vita?
Elisa: Ho prestato servizio come lavoratrice domestica presso mia zia, dal 1929 per diciassette anni. Dopo il matrimonio mio marito Giovanni Baiocco, non riuscendo a trovare lavoro qui da noi come meccanico, dovette emigrare in Belgio e adattarsi al lavoro stagionale in miniera per ben quattro anni. Al secondo anno di lavoro io e Franco riuscimmo a ricongiungerlo. Giovanni lavorò presso le miniere di carbone di Marcinelle e Jumet (Charleroi, Belgio) nell’azienda “Mercur”. Dopo il disastro di Marcinelle (3) dove Giovanni perse buona parte dei suoi amici, che lavoravano nella miniera vicina, decise di licenziarsi, e “Bergomet” (Bergamo), un suo conoscente di Noventa che lavorava in Svizzera, lo convinse a raggiungerlo. Lavorò in alcune città tra cui Losanna e io e Franco poco dopo lo raggiungemmo. Franco nel frattempo aveva fatto le scuole qui a Noventa, ma quando raggiungemmo Giovanni in Svizzera, dovette ricominciare il percorso scolastico (4) Stanco di sentirsi preso in giro dai compagni di scuola che lo chiamavano “nonno” decise di tornare in Italia e arruolarsi nell’esercito. Mio marito Giovanni nella sua vita aveva saputo adattarsi a tutti i lavori e quando era in Svizzera, non sapendo fare il muratore, durante le pause pranzo si prestava a imparare ad utilizzare la cazzuola per la malta.
Quando ci siamo trasferiti in Svizzera mettemmo in affitto il nostro appartamento al piano terra di Noventa. Al piano primo abitava Stefano Baiocco, il fratello di mio marito Giovanni, con sua moglie, e poichè come lavoro faceva il croupier al casinò di Venezia, poco dopo si trasferì ad abitare nella città lagunare, vendendo il suo appartamento. Noi in quel periodo non potemmo economicamente comprarlo. Quando siamo tornati dalla Svizzera, nel 1965, non era nostra intenzione abitare con un “foresto”sopra la testa e pertanto decidemmo di costruire l’attuale abitazione accanto a quella vecchia. All’improvviso l’inquilino del piano primo della vecchia casa decidette di vendere l’appartamento, che alla fine acquistò mio marito con gli ultimi spiccioli rimasti. Per lungo tempo dovemmo fare molti sacrifici tra cui mangiare una fetta di polenta con formaggio nei pasti della giornata.
Michele: Come si chiamava e che lavoro faceva tuo suocero?
Elisa: Mio suocero si chiamava Lorenzo Baiocco ed era un maresciallo della Finanza presso la Caserma di San Donà di Piave. Proveniva dalla Provincia di Verona. Mia suocera invece si chiamava Erichetta Zottino. Entrambi hanno avuto due figli ossia Giovanni e Stefano Baiocco.
Michele: Cosa ti ricordi dell’infanzia?
Elisa: Da piccola ero molto vivace e un giorno, giocando, mi sono tagliata un tendine del piede. Purtroppo, per le mancate e inefficienti cure dell’epoca, oggi devo ancora sottopormi a continue visite e medicazioni. Per questo motivo non ho potuto proseguito la scuola e mi sono fermata alla terza elementare. Le scuole elementari di Noventa si trovavano dentro all’attuale Municipio… Mia mamma aveva partorito tre maschi e sei femmine. Due figli morti per tifo, Piero, io, Lina che è morta, Anna che vive a Mussetta, Irma e Giuseppina. Mi ricordo della povera Valeria, di due anni, che tenevo in braccio, morta di polmonite….
Michele: Del fiume Piave cosa ti ricordi?
Elisa: Andavo giù nelle rive del fiume Piave per lavare la biancheria con il lavabo. Mi ricordo quando “Peocco” andò a nuotare nel fiume e all’improvviso, convinto di portare in superficie un mattone, portò a galla un elmo con la testa di un soldato morto durante la Prima Guerra Mondiale. Su questo fiume ci sono stati tanti morti e questi vengono ricordati dalla “Canzone del Piave”; il Piave mormorava calmo e placido il passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio. L’esercito marciva per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera. Multi passarono quella notte i fanti, tacere bisognava andare avanti….
Della mia vita non posso lamentarmi di nulla e non lo faccio nemmeno ora che ho molti acciacchi. Ho problemi: al piede, alla vescica, ho male alle spalle e sono stata operata ad un tumore al seno. Ho tante cose addosso.. (Elisa termina la sua testimonianza continuando a ridere).
Didascalia:
(1) La “Società della Ghiaia del Piave Spa” venne fondata tra gli anni 1929 e 1930 dalla fusione di cinque ditte artigianali gestite da: Antonio Cester, Pietro Nardini, Massimiliano Orlando, Angelo Ferrari e Pietro Canever. La sua maggiore ricchezza venne raggiunta tra gli anni 1948 e 1960 per poi cessare nel 1970. Vi lavoravano circa 150 operai tra: “barcheri”, caricatori e scaricatori di porto, manovali, uomini dello squero, ecc. L’attività si svolgeva nel Porto fluviale di Noventa di Piave per la produzione della ghiaia, tramite i frantoi, e nel fiume Piave per il trasporto del materiale per mezzo di imbarcazioni dette burchi o burci. Il Porto di Noventa di Piave contava una flotta di circa n. 18 / 25 burchi per poi passare a n. 35 / 40 con la fondazione della Società.
2) Governo Galla Sidamo XVI o XXI Battaglione Trasmissioni:
https://it.wikipedia.org/wiki/Governatorato_di_Galla_e_Sidama
(3) Disastro di Marcinelle:
https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Marcinelle
(4) Franco Baiocco fece la 1^ e 2^ elementare a Jumet (Charleroi, Belgio), quando il padre Giovanni lavorò nella miniera di carcone; la 3^ a Pietrafina (PG, Umbria) quando il padre Giovanni lavorò come assemblatore di escavatori di lignite con la ditta Sartori di Mestre; finì la 3^ elementare e poi fece la 4^ e la 5^ a Noventa di Piave (con il maestro Antonio Messina da Palermo); fece la 6^, 7^ e 8^ a Losanna (Canton di Vaud, Svizzera) presso l’Istituto Vilfredo Pareto (Scuola Parificata Italiana).
Emozionante. Grazie. Grande servizio
Emozionante! Quante cose dobbiamo imparare da questi nostri anziani. Grazie!!
Bellissimo racconto. Che vita dura e piena di sacrifici con in più le guerre. Conosco la signora ed il figlio Franco. Grandissime persone.
Sempre emozionante sentire questo genere di ricordi.
In questa bellissima intervista, ho riscoperto parte della storia vissuta da Elisa Rossetto e Giovanni Baiocco, unici zii di mia madre Liliana Baiocco, figlia di Stefano. Grazie per questo documento di memoria.
Alberto Canella, figlio di Liliana Baiocco.
Grazie a lei per la lettura e il commento..